La storia
Si ignora l’origine del nome Marchione, nome che individua sia il castello, sia la contrada.
Siffatto edificio era casino di caccia degli Acquaviva d’Aragona, conti di Conversano, la cui filiazione ininterrotta risale a Rinaldo Acquaviva, signore di Atri, vissuto intorno all’anno mille. Gli Acquaviva d’Aragona risiedevano abitualmente nel castello di Conversano ed usavano Marchione quale tenuta di caccia, costituita da bosco di querce e macchia mediterranea ed estesa duemila tomoli, cioè ettari 1.260; di tale bosco sopravvive un esemplare di quercia la cui età è valutabile in circa cinque secoli. La leggenda vuole che un passaggio sotterraneo collegasse Marchione con il castello di Conversano.
Con la conquista normanna della Puglia (secolo XI) Conversano acquistò una notevole importanza dal punto di vista strategico ed economico, divenendo contea sotto il dominio di casa Altavilla, dopo la divisione del ducato di Benevento. Successivamente, nell’età angioina, la contea passò ai Brienne, agli Enghien, ai Lussemburgo, ai Sanseverino e ai Barbiano. Agli inizi del secolo XV, nel tormentato quadro politico che portò alla crisi del dominio angioino e al consolidarsi del potere dei grandi feudatari del regno, la contea divenne feudo dei Caldora e degli Orsini Del Balzo. In seguito pervenne agli Acquaviva d’Aragona con il matrimonio (1456) di Giulio Antonio Acquaviva con Caterina, figlia di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto, e rimase sotto il loro dominio sino al 1806, anno del decreto di abolizione del feudalesimo nel Regno di Napoli. La contea di Conversano era uno dei sette potentati dell’Italia meridionale e comprendeva, oltre a Conversano, i territori di Bitetto, Bitonto, Casamassima, Gioia, Cassano, Noci, Turi, Castellana e Casal Castiglione.
Notevoli furono le figure di alcuni conti di casa Acquaviva d’Aragona, fra cui il citato Giulio Antonio, valoroso uomo d’armi al servizio degli Aragonesi, che partecipò anche ai fatti di Otranto (1480-1481), rimanendo vittima di un agguato turco.
Suo figlio Andrea Matteo, uomo d’armi anch’egli, ma soprattutto dotto umanista, fu protagonista di importanti vicende politiche: partecipò alla congiura dei baroni del 1485 contro il re aragonese; si schierò contro gli spagnoli nel conflitto che oppose Francia e Spagna fra la fine del Quattrocento e i primi del Cinquecento per il possesso del Regno di Napoli, provocando così l’assedio di Conversano da parte degli stessi spagnoli. Un cenno particolare merita Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, il più potente feudatario della Puglia nel XVII secolo, detto “il Guercio delle Puglie”, fondatore di Alberobello, noto per la maestria nell’uso delle armi, per il coraggio e per il suo mecenatismo. A soli diciassette anni, a capo di 300 cavalieri difese Manfredonia assalita dai turchi. Si schierò a difesa del governo spagnolo nei moti del 1647 e 1648, che, iniziati con la rivolta di Masaniello a Napoli, rapidamente propagatisi nelle città e nelle campagne, assunsero anche un carattere antifeudale.
A Giangirolamo II si devono le dieci tele raffiguranti episodi della Gerusalemme liberata ad opera del pittore napoletano Paolo Finoglio, che egli chiamò a corte intorno al 1635.
Dopo la morte del Guercio, nel quadro della crisi e del declino generale della grande feudalità meridionale, la contea di Conversano si avviò verso una lenta decadenza.
Nel secolo XIX, in cui si verificò un diffuso degrado del patrimonio artistico ed ambientale, anche Marchione visse il suo peggiore momento: il castello, insieme ai terreni, dato in affitto ad agricoltori disattenti ai beni e valori artistici, fu adibito a locale agricolo (lo si rileva da fotografie di inizio Novecento) ed il bosco fu dissodato.
La principessa Giulia Acquaviva d’Aragona, intorno agli anni 1920-30, riprese il possesso di Marchione ed avviò una paziente opera di restauro. Tale meritoria opera di salvaguardia e valorizzazione è stata proseguita con amore, competenza ed impegno dal figlio, principe don Fabio Tomacelli Filomarino (1920-2003), uomo di grande e profonda religiosità, sempre attento ai bisogni ed alle sofferenze della gente, autentico testimone di uno straordinario stile di vita, ultimo discendente di casa Acquaviva d’Aragona.
Il castello, che presenta perfetta simmetria sia lungo l’asse longitudinale sia lungo quello trasversale, si sviluppa su tre piani: il piano terra, l’ammezzato e le quattro torri, disposte ai quattro spigoli, tutto di età medievale, il piano superiore di epoca barocco-neoclassica (tardo Seicento); quest’ultimo, secondo qualcuno, sarebbe opera della scuola vanvitelliana.
Al piano superiore i soffitti, originariamente in legno e dipinti, furono sostituiti nel secolo XIX con volte in muratura, eccezion fatta per il salone centrale, sul cui soffitto ligneo (originale) è raffigurato lo stemma inquartato della casa Acquaviva d’Aragona; questo mostra lo stemma Acquaviva (leone rampante) e lo stemma, a sua volta inquartato, d’Aragona (pali, ecc.); fra gli altri figura lo stemma Filomarino. Nello stesso salone si osservano sulla parete sinistra (per chi entra) due alberi genealogici dipinti su tela: il primo è della casa Acquaviva d’Aragona, il secondo della casa Enriquez (casa reale di Castiglia, di cui un ramo si è estinto nella casa Filomarino); sulla parete opposta vi è un quadro ad olio raffigurante Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, detto “il Guercio delle Puglie”. Sulle stesse pareti, più in basso, vi sono dei “Medaglioni” (dipinti ad olio su rame) che raffigurano i vari duchi d’Atri di casa Acquaviva. In un’altra stanza vi è il quadro raffigurante la contessa Isabella Filomarino, moglie di Giangirolamo II, che resse la contea durante le varie assenze del consorte, ed alla cui pia volontà si deve la costruzione della chiesa del Carmine a Conversano (1652).